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martedì 16 novembre 2021

Quirinale, il Pd punta su una donna per il post-Mattarella: crescono le quotazioni di Anna Finocchiaro

 Elisa Calessi 


Tolto dallo scacchiere un bis di Sergio Mattarella, sospesa l'ipotesi Mario Draghi - perché aprirebbe il problema di una successione a Palazzo Chigi che vada bene a tutti e quindi della continuità della legislatura, dogma per tutti - sta crescendo, nelle ultime ore, soprattutto tra i dem, un altro scenario. Quello che vedrebbe, per la prima volta, una donna salire al Quirinale. E il nome che gira con più insistenza, in queste ore, è quello di Anna Finocchiaro, ex capogruppo del Pd al Senato, ex magistrato, ministro dei Rapporti con il Parlamento, delle Pari opportunità, presidente di varie commissioni parlamentari, donna di sinistra ma stimata anche a destra. Non solo in Forza Italia, per le sue posizioni garantiste. Ma persino nella Lega, dove, si ricorda, collaborò a lungo con Roberto Calderoli sulla riforma costituzionale che doveva superare il bicameralismo perfetto.

FIGURE DI DIALOGO - È vero che a ogni elezione del presidente della Repubblica qualcuno propone una figura femminile. Emma Bonino è un nome, per dire, che ciclicamente viene fatto. Ma questa volta, per una serie di circostanze, un candidato-donna potrebbe essere qualcosa di più di una bandiera. Innanzitutto per un fattore che contraddistingue questa elezione: non c'è uno schieramento che prevalga sull'altro. Difficilmente si potrà eleggere un presidente a maggioranza. Anche dal quarto scrutinio, dove basta la maggioranza assoluta. Perché anche all'interno degli schieramenti non c'è compattezza. E anche nei gruppi parlamentari: nessuno, sia nel Pd, sia nel M5S, può assicurare una tenuta dei propri parlamentari attorno a una proposta "di parte". Figurarsi un'alleanza tra gruppi diversi. Difficile, quindi, si dice nel Pd, pensare che possa prevalere un candidato marcatamente connotato. E così i nomi che allungavano le liste dem sono stati, via via, sbarrati. «Il candidato o la candidata migliore», si dice ora, «non possono non essere di mediazione. Figure di dialogo».

Chi meglio, allora, di una donna? Il fatto stesso di appartenere al genere femminile conferisce un elemento in più di mediazione, perché è, di per sé, un segno di novità in cui tutti si possono riconoscere e che tutti possono rivendicare. Per questo, nel Pd, si sta ragionando figure femminili da proporre al centrodestra. Anche per evitare che il centrodestra, alla fine, magari con l'aiuto dei renziani, si elegga da solo Silvio Berlusconi, possibilità che in questi giorni sta prendendo sempre più consistenza. Così, un po' per scongiurarla, un po' per uscire dall'angolo tentando una mossa che sparigli, si sta provando a sondare l'ipotesi del candidato-donna. I nomi che girano di più sono quelli di Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa ma, ancora di più, di Anna Finocchiaro, che, sì, ha un passato politico nettamente di sinistra, ma è sempre stata molto stimata anche nel centrodestra per le sue posizioni di grande equilibrio. Ma altre personalità, anche proveniente dal centrodestra, si dice nel Pd, potrebbero avere queste caratteristiche. Il nome più scontato è quello di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, ma è difficile che possa essere votata dal centrosinistra, con cui, in questa legislatura, si è scontrata varie volte. Piuttosto, si guarda ad altre figure, anche fuori dal Parlamento. Mentre è difficile che rientri nella rosa il ministro Marta Cartabia, non potendo contare sull'appoggio di Lega e M5S, che, per varie ragioni, si sono scontrati con il Guardasigilli su questo o quel provvedimento.

È presto per fare nomi. L'identikit, però, è in campo. E potrebbe essere un punto di partenza. A evocare la possibilità che finalmente diventi presidente della Repubblica una donna, ma smentendo di potere essere lei la prescelta, è stata Rosy Bindi. «Lo ripeto da anni fino alla noia», ha detto in una intervista. «E trovo siano un'anomalia gli appelli in tal senso, dovrebbe essere normale prendere in considerazione questa ipotesi». Ne ha parlato il ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, M5S: «Non mi dispiacerebbe una donna al Quirinale». Ma il più diretto, su Twitter, è stato, ieri, il dem Andrea Marcucci: «Credo e spero che nelle prossime settimane cresca la possibilità che una donna sia Presidente della Repubblica. Sarebbe un segnale fortissimo per tutta la società italiana».

SPUNTA SANTORI - Marcucci non ha ruoli nella struttura del Pd lettiano. Ma fanno riferimento a lui alcuni senatori ex renziani. E potrebbe raccogliere il consenso di altri dem di Base riformista e non solo. Del resto è una proposta che può ottenere appoggi molto trasversali. Basti pensare che a rilanciarla, ieri, è stato anche Mattia Santori, inventore delle Sardine, che pure è lontanissimo da Marcucci: «Si può sognare una presidenza della Repubblica donna», ha detto. Non ha fatto nomi, ma, ha aggiunto, «se già riuscissimo ad uscire dal fatto che debba essere per forza un uomo, bianco over 70 sarebbe un passo avanti». Il sasso è lanciato. 



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sabato 13 novembre 2021

Dieci anni dopo la storia dà ragione a Berlusconi

Nel 2011 la fine del suo governo a colpi di spread. Oggi è il padre nobile del Ppe e in lizza per il Colle.

Paolo Guzzanti


C'ero anch'io in Parlamento quel giorno in cui cadde l'ultimo governo Berlusconi. L'atmosfera era pesantissima. Lo spread saliva come una febbre e i giornali nemici del governo, giuravano che era tutta colpa del premier. Quando un'ultima deputata di Forza Italia si alzò per dire che abbandonava il partito, fu evidente che la maggioranza era erosa dalle termiti. Pochi minuti dopo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annunciò che sarebbe andato dal capo dello Stato, il quale era, fin troppo perfettamente al corrente di quel che accadeva. Arrivederla e grazie, venga avanti l'esimio professore e precauzionalmente - senatore a vita Mario Monti.

Un loden che varcò i teleschermi e simboleggiò l'Italia vestita in modo alpestre. Non era un governo tecnico, ma il primo esperimento di molti giochi senza frontiere che avremmo visto nell'ampio cortile costituzionale. Il resto lo sappiamo: l'Italia è l'unica democrazia liberale in cui da dieci anni non governa un premier espressione del voto popolare. Si dirà che anche Renzi era stato baciato dal Grande Consenso Vagante che agisce secondo regole e umori non definiti. Ma non era stato eletto al Parlamento italiano.


Tutto ciò è noto, come lo sono le circostanze usate per estromettere dai Palazzi della democrazia rappresentativa il leader più popolare. Quindi, proviamo a vedere che cosa è successo fino ad oggi e valutare la differenza fra il prima e il dopo.

Che cosa sono stati questi dieci anni e qual è l'effetto finale? Cominciamo dal Fiscal Compact, che era uno spettro per gli illiberali, ma che oggi nessuno osa contestare. Il Partito Popolare Europeo dal quale erano usciti acidi commenti sul premier italiano, oggi lo considera uno dei padri nobili, una figura di assoluto rispetto che figurerebbe molto bene come successore di Mattarella per rappresentare al più alto livello l'Italia governata da Draghi. Quanto alla magistratura, i fatti parlano da soli. Lasciamo per un attimo da parte il feroce accanimento giudiziario scatenato contro il fondatore di Forza Italia (che era la zattera rifugio degli elettori dei partiti di centro spazzati via dall'operazione Mani Pulite) che ha rovinato la vita politica non soltanto a lui ma anche a tutti i milioni di italiani che si sono trovato senza il loro rappresentante, nonché massacrati in pubblico e in privato.

Ma oltre l'autentico martirio inflitto al cittadino Berlusconi Silvio, imprenditore e politico italiano più volte presidente del Consiglio, tutto il Paese e poi tutta l'Europa e anche il resto del mondo civile, si è reso conto del fatto che il sistema giudiziario italiano è intossicato da usi politici e anche personali o di banda.

Certo non da Circolo degli Immacolati. Basta pensare al caso di Matteo Renzi che ha visto perseguiti i propri anziani genitori, oltre che se stesso a secondo di come si muoveva o si muove politicamente con una strabiliante coincidenza dei tempi. Abbiamo visto casi aperti in molte aree politiche in cui un avviso di garanzia, un rinvio a giudizio, una voce accuratamente riferita da speciali cronisti giudiziari, poteva affondare, come quando si gioca alla battaglia navale: «Avviso di garanzia in E4», colpito. «Avviso di garanzia in E5», colpito e affondato.

Il decennio «senza Berlusconi» ha fatto capire tutto: le grandi leggi di riforma liberale che il leader di Forza Italia propugnava a favore sia dei cittadini che vivono della ricchezza prodotta da altri, sia degli imprenditori che quella ricchezza la producono, erano le uniche in grado di segnare una via verso il futuro. Si potrebbe dire con una battuta che dieci anni senza Berlusconi hanno prodotto il governo Draghi che da Berlusconi fu scelto per presiedere la Banca europea perché il premier che ci appare irresistibilmente dinamico, decisionista, forte perché ha dietro di sé l'Europa, è il contrappeso necessario e quasi fisico a tutto ciò che è mancato o è fallito in questi dieci anni.

L'Europa del dopo-Berlusconi non ci ha messo molto a capire che il Cavaliere non era il problema ma semmai la soluzione e che tutto l'intrico di poteri usurpatori, deficienze amministrative, abusivismo giudiziario capace di deviare e devastare la Costituzione, doveva essere fermato.

La deriva populista di destra e di sinistra che hanno finito per appaiarsi, è stata un'altra conseguenza dei «dieci anni» a secco di liberalismo. L'Europa ha deciso che sarebbe valsa la pena recuperare il tempo perduto offrendo a questo Paese spesso troppo furbo, ipocrita e decadente, ma pieno di potenzialità magnifiche, l'opportunità - now or never again di scrollarsi di dosso proprio tutti quei fattori, e gruppi di potere, che coincidono con i momenti chiave della soffocante congiura. Molto denaro in cambio di un nuovo virtuosismo. Obbligo di riforma a partire dalla magistratura e dal fisco. Libertà e liberalismo. Tutto ciò che costituiva il patrimonio dell'uomo estromesso dieci anni fa e che è rimasto tuttavia l'ultimo uomo in piedi pronto a difendere i valori per cui fu perseguitato, come oggi tutti ammettono.

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giovedì 11 novembre 2021

Bollette, il maxi-rincaro non basta: stangata di Capodanno, le cifre dell'imminente rapina

 

Ora è ufficiale. «Si profila per il primo trimestre del 2022 un significativo ulteriore aumento dei prezzi nel servizio di tutela», spiega il presidente dell'Arera, Stefano Besseghini nel corso di un'audizione in Commissione attività produttive della Camera. Tradotto: le bollette saliranno sensibilmente da Capodanno. «Le attuali quotazioni del gas naturale per il primo trimestre del 2022 sono ancora molto superiori a quelle utilizzate per lo scorso aggiornamento che determinerebbe criticità analoghe a quelle affrontate per il quarto trimestre del 2021», aggiunge il numero uno dell'Authority energetica. Alla luce di tutto ciò, prosegue Besseghini, «a nostro avviso risulta ormai indifferibile l'esigenza di finanziare strutturalmente misure in campo sociale e industriale attualmente coperte tramite il gettito di componenti tariffarie con trasferimento sulla fiscalità generale».

E gli interventi del governo? Attenueranno la batosta o no? «La destinazione permanente dell'importo attualmente previsto dalla legge di Bilancio, pari a 2 miliardi annui, a copertura degli oneri generali di sistema, insieme alla stabile destinazione al medesimo obiettivo dei ricavi delle aste per l'assegnazione delle quote di emissione di CO2, pari a circa 2,5 miliardi di euro, stante gli attuali prezzi della CO2, coprirebbe circa un terzo del fabbisogno», conclude Besseghini. Il resto è a carico nostro. Abbiamo già dato conto dell'esplosione di luce e gas. Imprese, considerate energivore, che a Lucca si sono viste arrivare bollette aumentate anche del 400%. Altra gente, che pagava 300mila, ora deve sborsarne 700mila. Alcune ditte pensano di chiudere, perché così non ci perdono. Tira aria di cassa integrazione "energetica". Il guaio è che sentendo le parole di Besseghini - il peggio deve ancora venire. L'incremento dei prezzi, inizialmente sul groppone dei soli imprenditori, ormai si sta scaricando sui consumatori, sulle famiglie. «Salgono i prezzi dei prodotti energetici, la logistica risente della pandemia, la finanza specula: cerchiamo soluzioni condivise da tutto il comparto, colpito da questo tsunami già in atto», chiede Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare.

«La situazione è diventata insostenibile- prosegue- la mancanza di offerta delle materie prime non è una bolla, non terminerà a breve e questo porta ad un incontrollato aumento di costo delle stesse a cui si aggiungono il costo esorbitante dell'energia e degli imballaggi, il caro noli e il caro container. La situazione è molto grave. Il rischio è una forte contrazione del mercato con gravi conseguenze sulle imprese soprattutto quelle meno strutturate e, in generale, sull'occupazione, con ulteriori riduzioni sulla capacità di acquisto dei consumatori», conclude Vacondio. Altro allarme è quello lanciato da Ancit, l'associazione dei Conservieri Ittici e delle Tonnare, che parla di "tempesta perfetta" per questo settore dell'industria alimentare e che rende la situazione non più controllabile e pianificabile da industria e fornitori. I prezzi della banda stagnata, principale materiale di imballaggio per le conserve ittiche, a fine anno segneranno un +80% rispetto al settembre 2020 e crescono anche i prezzi degli imballaggi di carta e cartone: + 10-15% in un anno, con proiezioni per un ulteriore + 15-20% nei prossimi mesi.

Per non parlare dell'incremento esponenziale nei noli marittimi, principale modalità di trasporto per il tonno utilizzato come materia prima per i prodotti in scatola: + 289% da ottobre 2020 per il nolo di un container da 40 piedi. E Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, avverte su Rai2: «L'aumento dei prezzi delle materie prime sta mettendo a rischio cantieri e imprese del settore». Intanto i numeri ufficiali cominciano a non essere più tanto «temporanei», come ci raccontavano. In Germania l'inflazione annuale ha fatto un balzo del 4,5% (non accadeva dal 1993), mentre negli Usa è salita del 6,2% (aumento maggiore dal 1990). Il presidente Joe Biden promette di invertire la rotta, perchè il boom dei prezzi «fa male al portafoglio degli americani». Ma finchè le banche centrali continuano a stampare denaro, necessario per alleggerire il peso dei super debiti statali, i prezzi continuano a salire.


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